Femminismo, il movimento e la comunicazione
Il femminismo è un movimento storico. Il suo nome è legato alla prima rivendicazione delle sue fautrici, quella di non sentirsi mai più soggetto passivo delle istituzioni patriarcali, e cioè delle scelte degli uomini, ma di prendere in mano la propria vita come uniche legittime responsabili. Sembra una richiesta tutto sommato accettabile… e allora perché incontra oggi così tante resistenze?
I suoi detrattori solo soliti riferirsi al femminismo come a un’entità monolitica e unidimensionale, ma è una forma di pigrizia intellettuale di cui dobbiamo assolutamente renderci conto. Si tratta in realtà di un movimento storico che in Europa affonda le sue radici nel lontano secolo delle lotte ottocentesche per il suffragio universale, e si è sviluppato senza sosta, declinando e poi recuperando rinnovato vigore fino ai giorni nostri. Come si può seriamente pensare che possa trattarsi di un fenomeno uniforme, compatto, inscalfibile, se ha attraversato secoli e secoli di trasformazioni, e ha girato in lungo e in largo il globo intero?
Dunque, per essere più corretti: il femminismo è un movimento storico, ma il mondo in cui lotta si evolve e produce sfide sempre inedite, e perché sopravviva è necessario che si trasformi in qualcosa di più di una semplice contingenza. Per questo è divenuto nei secoli un movimento dell’anima, una domanda costante e sempre rinnovata di giustizia sociale per tutti e tutte, in varie parti del mondo, con richieste a volte diverse, in certi casi addirittura contraddittorie con alcuni valori progressisti delle culture politiche liberali”. Il femminismo islamico affronta sfide diverse dal femminismo nero di matrice statunitense, il femminismo intersezionale cerca di cogliere l’essere umano in tutte le varie identità che le compongono, mentre il femminismo delle donne di destra è una forma estremamente peculiare di rivendicazione di genere, di indirizzo conservatore, fonte di vivaci dibattiti filosofici e politici, ecc.
Questo movimento dell’anima è anche transnazionale, poiché chiama in causa un fenomeno globale e multiculturale, ovvero l’abolizione di quel groviglio informe di stereotipi, pregiudizi e false convinzioni che si articola attraverso la sistematica condanna di donne e uomini ad un destino predeterminato in base alla loro differenza sessuale, che prende il nome di “patriarcato”. Questo è stato storicamente individuato come la sfida più dura da affrontare, poiché è un sistema di pensiero che diffonde capillarmente le sue articolazioni anche nei cunicoli più impensabili della vita quotidiana: non è necessario richiamare le varie ondate del femminismo (dalla lotta delle suffragette inglesi, al diritto al divorzio, dall’abolizione delle attenuanti al “delitto d’onore” sino alla regolamentazione della pratica abortiva…) per renderci conto che ogni periodo storico produce delle forme di discriminazione sulle quali è necessario che le società si confrontino, che sono specifiche e peculiari, legate anche allo sviluppo economico o alle sofisticate evoluzioni della tecnologia. A questo proposito c’è infatti chi sostiene che la quarta ondata femminista sia proprio quella delle donne della cultura digitale.
Rifletti e agisci!
Sei una donna? Sei biologicamente destinata ad essere accomodante e conciliante, a sorridere sempre (“quando sorridi sei più bella!”), sei più predisposta ai lavori di cura e quindi piuttosto che una laurea in ingegneria ti prescriverei un bell’impiego alla scuola elementare, in fondo sarai mamma (come sta messo il tuo orologio biologico?) quindi ce l’hai nel sangue.
Sei un uomo? Conserva gelosamente la tua virilità chiudendo ermeticamente i tuoi sentimenti in un cassetto, e gettando via la chiave (un uomo virile non piange), e non temere se ne scaturisce un comportamento bestiale e violento, il mondo è fatto a tua immagine e somiglianza quindi piuttosto che affrontare un serio percorso di crescita personale ci penseranno le donne a non disturbarti assumendo comportamenti remissivi, e a non provocarti indossando indumenti succinti
quando camminano per la strada. Sii uomo: fai il primo passo. Fai l’uomo: pagala tu la cena. Sii un gentiluomo: tieni aperta la porta dando dimostrazione della tua superiorità spirituale concedendo ad un altro essere umano, di caratura chiaramente inferiore, di passare per primo.
La gentilezza non ha sesso, né genere. Sono le intenzioni a fare la differenza. La cavalleria è sessista, la gentilezza no.
Digital culture e femminismo
Suggeriamo qui[1] un breve contributo di Paola Cortellesi che ci illumina sulla funzione del linguaggio, che troviamo elegantemente provocatorio: il linguaggio ci consente di descrivere la realtà, e quindi di leggerla in un modo piuttosto che un altro. Attraverso il linguaggio riproduciamo costantemente la nostra personale realtà rivolgendoci agli altri, contaminando le loro opinioni con le nostre parole. Non parliamo a vanvera: come diceva Nanni Moretti “le parole sono importanti”! Dietro ogni singola scelta lessicale infatti, esiste un’intenzione comunicativa, a volte esplicita e a volte meno. Ma quando si tratta di parole, nulla è a caso.
In questo senso i media e i social media svolgono un ruolo fondamentale per lo sviluppo delle lotte femministe nel mondo, per via della loro capacità di reiterare e rendere “virale” l’utilizzo di una certa categoria di pensiero. Hanno dato una spinta incredibile al coinvolgimento di persone di tutti i generi e tutte le età nei discorsi sulla giustizia sociale legata alle questioni di genere, in tutto il mondo anche se con caratteristiche peculiari a seconda della regione. E’ così che la quarta ondata di femminismo è finalmente emersa, quella della rivoluzione digitale.
Si tratta di un momento storico dalle potenzialità inedite, ed è per questo che è ricco di opportunità ma anche di sfide. La diffusione delle denunce del movimento #metoo per esempio è stata impostata proprio come una campagna social: la capillarità del digitale ha consentito a molte donne nel mondo di sentirsi parte di un sistema sbilanciato a loro sfavore, è cresciuta la consapevolezza di essere in tante ed essere arrabbiate, e di poter affrontare pubblicamente lo stigma interiore e sociale di essere stata vittima di quella che in forme diverse ha la natura di una vera e propria violenza.
Si è percepita, insomma, l’urgenza quanto mai attuale di ribadire uno degli slogan chiave del femminismo occidentale degli anni Settanta “il personale è politico”: “one of the first things we discover in these groups is that] personal problems are political problems. There are no personal solutions at this time. There is only collective action for a collective solution”. Si tratta di un’evoluzione inattesa delle battaglie delle generazioni che ci hanno precedute, le cui radici salde e caparbie sono arrivate fin qui, e si intrecciano a quelle delle figlie più giovani: un incontro intergenerazionale in nome della liberazione e della giustizia sociale.
Tuttavia, le criticità implicate nell’utilizzo dei social sono numerose e problematiche. La prima e più immediata è certamente la percezione che le donne hanno di se stesse, deformata attraverso la lente dei modelli estetici diffusi così efficacemente dai social network a livello globale: uno studio pubblicato sullo Psychology of Women Quarterly nel 2015, affronta il tema della relazione tra l’utilizzo dei social e la tendenza all’auto-oggettificazione del proprio corpo, da parte delle ragazze più giovani, individuando un legame positivo tra i due fattori.
Questa tendenza non è fine a se stessa, dal momento che nella pubblicità le strategie di marketing sono storicamente improntate sulla riproduzione stereotipata delle differenze di genere e dei loro clichés più fruibili, anche perché la teoria della segmentazione del mercato lo richiede.
D’altra parte il ruolo dell’informazione, nel suo nuovo format di messaggio compresso, immediato e pronto ad essere consumato nel titolo di un link, non è altro che l’esasperazione di quel giornalismo sensazionalista che è dovuto scendere a patti con le istanze dei navigatori del web, sacrificando però la sostanza dei contenuti, il carattere d’inchiesta dei servizi, la profondità delle analisi. Una tendenza tanto più pericolosa quando si tratta di fake news: virali, subdole, sempre alla ricerca di quelle nicchie di ignoranza che ne favoriscano la riproduzione sui social network. Il progressivo assottigliamento della matrice del messaggio in qualche parola chiave, non ha fatto che semplificare a tal punto il messaggio da lasciarlo pelle e ossa, stereotipi di genere e luoghi comuni, producendo una tendenza che contrasta decisamente con la necessità di depurare quelle aree del linguaggio che hanno dato spazio al perpetuarsi di categorie di pensiero decisamente sessiste.
Una caratteristica peculiare di questo femminismo di quarta generazione è anche il tendenziale abbandono dell’antagonismo di genere: attraverso l’analisi genealogica di ciò che produce disuguaglianza nel mondo, lo sguardo fresco delle femministe della quarta ondata mette in evidenza tutte quelle costrizioni cui gli uomini stessi sono sottoposti. Il patriarcato infatti ha il brutto vizio di separare, consacrare il destino degli esseri umani ad una sorte già scritta nella loro struttura biologica: così il machismo impone agli uomini una certa linea guida perché le loro azioni non ne mettano in discussione la virilità, quindi emotività, cura della casa e dei figli sono questioni riservate alle femminucce o a chi adotti atteggiamenti “effeminati”.
[1]P. Cortellesi al premio David di Donatello 2018: https://www.youtube.com/watch?v=4WjhLSkXqTk
Non dovremmo smettere mai di affinare il nostro sguardo critico verso ciò che nel mondo non ci torna. Niente di ciò che osserviamo intorno a noi è permanente, e il potere di rivendicare il nostro spazio è soltanto nelle nostre mani. E’ fondamentale svolgere il nostro ruolo nella rete collettiva della nostra società, con gli strumenti d’avanguardia che abbiamo a disposizione, mantenendo tra i nostri sensi più acuti lucidità, senso di giustizia e desiderio di libertà.